psicofarmaci, streghe e placebo

questa società, questo mondo fanno schifo. è, forse, l’unico dato oggettivo certo.

sfruttamento, potere, soprusi, ingiustizie, porte e pugni in piena faccia, manette ai polsi e gomiti dietro la schiena, sbarre, schiene piegate, orologi, ciminiere, supermercati sberluccicanti, illusioni che si infrangono sugli scogli della realtà marcia e putrida.
eppure, ci vorrebbero far credere che il problema è rinchiuso nella nostra testa, sigillato dietro a neuroni che non hanno saputo ordinarsi in fila indiana dietro il capitalismo galoppante.
e se ci puniscono e sorvegliano perchè non cadiamo nella tentazione di un’automedicazione a base di dubbie molecole ben tagliate a più o meno alto potere additivo, ci costringono ad ingoiare pillole senza zucchero perchè, se non possiamo conformarci, che almeno ci si assopisca storditi in un lavoro alienante.
e come al solito, senza vederci nulla di sovversivo se non una pratica in libertà slegata dalle leggi del mercato e dai tentacoli dello stato, me ne vado salterellando come heidi, ma senza cesto di vimini.
sento vedo e raccolgo ciò che abbonda per farlo infondere nell’acqua bollente.

Tisana rilassante
(ma, non troppo…San Pietrino continuerà a proteggerci)
tisana rilassante

dopo aver raccolto attorno a se qualcuna delle erbe della foto (ed, eventualmente dopo averle fatte seccare, ma mica è d’obbligo), far bollire dell’acqua, poi aggiungerla, in una pentola con coperchio (o una teiera) sulle manciate delle seguenti piante per almeno dieci minuti:

–> erba di san giovanni (quei simpatici fiorellini gialli bucherellati di inizio estate, ipericum perforatum, per linneo e compagnia) è una pianta alquanto straordinaria, antidepressivo da cui è perfino possibile trarre sollievo dalla scimmia. Naturalmente, un’infusione non è un concentrato sintetizzato, le quantità e i tempi sono un po’ più lunghi…Solamente, attenzione alle interazioni! L’iperico interferisce con le pillole ormonali e altri medicinali allopatici [1]…(A)
–> basilico. molto più conosciuto nella pasta e con i pomodori è, in realtà, un’altra pianta facilmente reperibile dalle proprietà antispasmodiche e calmanti (ma allo stesso tempo tonificanti per la testa), utile per combattere lo stress, l’ansia e le angosce create dall’incubo terra. (B)
–> lavanda. largamente diffusa negli armadi più che nelle teiere, la lavanda, oltre alle proprietà antisettiche che qui non ci interessano, è indicata nella lotta alle emicranie, spasmi, palpitazioni nervose, melancolia e insonnia. (C)
–> passiflora. anche se l’origine del suo nome porta con se’ le stigmate del colonialismo cattolico (certo che bisogna essere decisamente fissati per vedere nel suo fiore viola la passione di cristo in croce!), oggi si trova con relativa abbondanza sulle recinzioni pergole e affini. un po’ come l’iperico è un vero ansiolitico. a quanto pare avrebbe migliori effetti che lo xanax, senza possederne gli effetti collaterali (nessun effetto ipnotico).
–> melissa. è una piantina selvatica dal forte sentore di limone. antispasmodica, ansiolitica, calmante, quello che ci vuole per dare un buon gusto alla tisana.

eventualmente anche:
–> tiglio. sono quegli alberi che fiancheggiano gli orribili viali husmaniani di città dalle arterie dritte. in primavera portano una ventata dolciastra e profumata in mezzo all’asfalto, lasciando cadere goccioline di linfa. si raccolgono i fiori e le due bractee. Ha un effetto più sedativo dei precedenti, aiuta non tanto ad addormentarsi ma piuttosto a dormire.
–> valeriana. è più facile trovare la sua cugina ai fiorellini rosa scuro la fine della primavera lungo le strade, ma si usa soprattutto la radice con un gusto piuttosto forte tra la puzza dei piedi e della liquirizia. sedativa e calmante agirebbe sul recettore gaba (come oppiacei e alcool) e sull’olfatto dei gatti che sono pronti a rotolarcisi dentro fusi.
–> biancospino. come la bella addormentata, se ci si punge con le spine della tintura madre si piomba nel sonno. sedativa (con forza minore l’infuso dei fiori e, ancor meno, delle bacche).
–> luppolo. pianta che si arrampica lungo i fiumi e a inizio autunno da vita a “coni” che sembrano piccole pigne di carta. effetto sedativo e ipnotico.
–> papavero (quello dei campi). come suo cugino, ma un po’ meno. non fa vomitare ma inspessisce il sonno e impasta i sogni.

Beh, ecco, una delle mie pozioni preferite prima di andare a dormire. Ovvio, detta così fa un po’ pulcino che pigola bio bio bio, ma me ne fotto, se posso evitare un ricovero coatto, se posso illudermi di ingurgitare intrugli che mi riscaldano, dal sapore gradevole e dal rito rassicurante.
E ho tutta una lista di infusi che ho perfezionato secondo l’occasione, da quello per riprendersi dalle feste un po’ troppo chimiche e alcolizzate, a quello per lavori fisici, passando per quello per la tosse, le placche in gola (rovo e succo di limone in gargarismo), per le mestruazioni dolorose, per far venire le mestruazioni, per i reni, per lavori intellettuali, per restare svegli al volante…
e se la rivoluzione non sarà un pranzo di gala, sicuramente non sarà nemmeno una tisana in poltrona, ma una tazza di erbe fumanti può essere un buon palliativo per sbarazzarsi del potere della medicina universalizzante che pretende di conoscerci meglio del nostro corpo e, intrisa della stessa merda capitalistica di questa società occidentale, si erge a giudice del nostro benessere imponendoci leggi da seguire e pene da espletare.
senza illudersi nemmeno di possedere un sapere mistico da guru onnisciente, assaporo soltanto il piacere di qualcosa che mi fa bene e rivendico l’autosomministrarmi ciò che mi giova (al di là delle fittizie frontiere di una legalità completamente relativa), soprattutto se è liberamente disponibile e cresce in abbondanza attorno a noi.
e quella che scrivo qui non è una ricetta universale, ma giusto condivisione di qualche briciola di esperienza su qualche molecola che agisce (seppur differentemente) sulle cellule umane.

Nella foto:
A iperico, erba di san giovanni (ipericum perforatum)
B basilico (Ocimum basilicum)
C lavanda (lavandula officinalis)
D passiflora incarnata
E melissa officinalis
F valeriana officinalis
G luppolo (humulus lupulus)
H papavero (papaver rhoeas)
I biancospino (Crataegus monogyna)

[1] Immunosopressivi (ciclosporina)
Glicosidi cardiache (digossina) in caso di dosi di ipericosuperiori a 1 grammo/die (peso secco)
Inibitori non-nucleosidici trascrittasi inversa HIV (nevirapina)
Altri inibitori dellaproteasi inversa HIV (indinavir)
Chemoterapici (irinotecan)
Anticoagulanti (warfarin, fenoprocumone)

Cautela nell’assunzione di iperico se il soggetto sta assumendo i seguenti farmaci:
SSRI (paroxetina, trazodone, sertralina) ed altri agenti serotoninergici (nefazodone, venlafaxina)
Pillola contraccettiva a dosaggio molto basso
Amitriptalina (antidepressivo triciclico)
Fexofenadina (antistaminico)
Teofillina (broncodilatatore)
Simvastatina
Fenitoina (teorico)
Agebti fotosensibilizzanti (acido delta-aminolevulinico)

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ricco sfizio: i contrasti affamano

Sono andato a trovare un amico rinchiuso al cie. fuori, mentre aspettavamo sotto il sole cocente che le guardie ci aprissero, una nonna algerina si lamentava del fatto che, da qualche tempo, gli agenti del centro impediscono ai famigliari di portare del cibo ai loro parenti rinchiusi. “Neanche i biscottini dell’El-Aid!” faceva notare con sdegno la vecchietta. Negli attimi trascorsi insieme sotto gli occhi vigili delle uniformi, il mio amico mi ha passato una borsa con il pasto. “ma che, non mangi?” gli ho detto prima di guardare il contenuto del sacchetto. Quando ho visto cosa c’era dentro, ho capito. Vaschette puzzolenti di platicaccia chimica contengono razioni grigiastre. Le etichette posizionate sulla pellicola trasparente segnano una data di scadenza passata da qualche giorno. Non mi stupisce, e, seppure  non serva limitarsi a battersi per migliorare il cibo (i cie non sarebbero umani anche servissero lasagne e parmigiana quattro volte al giorno), fa sempre incazzare.

casomai a qualcuno interessasse, sembrerebbe che sia Sodexo ad essersi aggiudicata molti bandi di gara per servire schifezze nei cie…

E fa ancor più incazzare sapere che il condimento a quella brodaglia putrida sono botte e iniezioni di psicofarmaci. Sapere che se ti contorci dal dolore ti lasciano morire in un angolo, come è successo ad una donna che aveva ingerito detersivo ed è stata portata in ospedale solo quando, ormai, era in coma con il fegato spappolato.

E fa male uscire lasciando un amico dietro le sbarre, fa male poter varcare la porta tranquilli mentre decine di persone restano lì rinchiuse a prendersi botte, perquisizioni umilianti e a mangiare merda.

E, sebbene lotte di solidarietà che si organizzano e tessono contatti e resistenza mi rincuorino, la rabbia è difficile da sbollentare. E quando mi ritrovo davanti ai fornelli per nutrirmi, ho voglia di alzare metaforicamente il dito medio a tutti coloro che vorrebbero nutrirci a suon di scappellotti e vaschette prevomitate. Ho voglia di preparare qualcosa di buono. Certo, non migliorerà la condizione di chi sta dentro, ma almeno ci darà un po’ di energia carboidrata per lottare con più vigore.

le braci del cie di lampedusa

E quindi, vaffanculo a questo mondo di merda e a tutti i suoi scagnozzi, alzo il dito, ma anche forchetta e coltello. Sperando di poter un giorno preparare un’enorme grigliata sulle braci dei cie e delle prigioni…

Farfalle al salmone, pomodorini e zucchine
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il paradigma dello sviluppo e il cibo etnico

Negli anni sessanta, mentre la decolonizzazione offriva scenari di gioiosa distruzione,  la teoria della modernizzazione, alla base del protendersi dei tentacoli del capitalismo sotto le spoglie di un colonialismo ancor più perverso, inizia a vedersi minare le proprie radici.

Gli intellettuali, fin troppo spesso pronti ad assecondare il paradigma universalizzante di uno sviluppo unilineare, iniziano a discordare da questa visione. Sono gli anni in cui alcuni storici e sociologi iniziano a sviluppare la teoria della dipendenza e la teoria del sistema mondo, i cui concetti, seppur non permettendo una rimessa in discussione radicale del paradigma stesso dello sviluppo (come elemento inevitabile e ineludibile che l’occidente si deve di esportare altrove), forniscono una chiara immagine delle relazioni asimmetriche dell’Occidente dominante.
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Scorbuto, pesticidi e sigarette: cronache di una morte annunciata

ragazzi affetti da adhd?

Da quando nelle banlieus parigine hanno scoperto un incremento dei casi di scorbuto, c’è da chiedersi se non ci siamo illusi vedendo nelle rivolte delle cités rabbia e ras-le-bol generalizzati. Saranno mica stati i coloranti e gli additivi ad aver causato un’epidemia di iperattivismo? Domanda ironicamente legittima, alla quale lo stato prova a rispondere imponendo il dogma dei 5 frutti obbligatori per giorno.  Con la diffusione di “simpatiche” brochures, tenta di scardinare dalle tavole dei poveri i prodotti da discount pre-masticati, consigliando di andare al mercato poco prima della chiusura per poter approfittare di prezzi più abbordabili (ma guai a servirsi gratuitamente nei cassonetti, quello resta reato).

Allo stesso tempo (e sembra andare nella stessa direzione) impone il divieto di fumare nei bar, provvedendo nel contempo ad aumentare le sigarette (attualmente mi sembra che un pacchetto oltralpe si aggiri  attorno ai 7 euro).

Scelte che potrebbero leggersi, semplicemente, come l’installarsi di un “paradigma igienista” di pari passo con le politiche economiche volte alla ripresa delle agricolture europee tramite la moda del bio.

Eppure è una lettura che non mi convince totalmente.

Oggi, avrei voluto utilizzare la scorza di un’arancia, ma poco prima di grattuggiarla, mi è venuto in mente che, sull’etichetta, c’erano scritte delle cose strane. Ho recuperato il sacchetto e ho letto “trattato con tiabendazolo e/o imazalil e/o ortofenilfenolo”. Vi lascio riprodurre l’assai poco rassicurante ricerca internet che ne è seguita.

Sembrerebbe che il primo e l’ultimo in particolare, vietati in italia, siano tanto cancerogeni quanto la nicotina e il catrame delle sigarette. Senza pensare ad uno altro sconfortante aneddoto in cui mi è stato raccontato che, lavorando a cottimo nella raccolta delle mele, si vedono insetti e bestioline morire seduta stante al contatto con i frutti, mi sembra di capire che, ciò che sta dietro la spinta al mangiare frutta e verdure, non sia tanto un effettivo desiderio di diminuire la spesa pubblica in materia di sanità, ma semplicemente, inculcare disciplina e spossessarci della nostra stessa morte. Toglierci anche la libertà di scelta rispetto al tumore di cui moriremo.  Perché, che sia un mesotelioma causato dall’amianto, un fibroma alla vescica, una cirrosi epatica, o altre amenità causate da lavoro e sottomissione, avremo diritto a un encomio funebre che inneggerà alla nostra onestà e forse anche qualcuna delle virtù cardinali. Ma se, invece, ci si finisce con una siringa in vena, una bottiglia tra le labbra, una canna nel collo,  ce li siamo cercati gli atroci dolori con cui dio ci ha punito, come se non fosse stato un destino segnato dal non potersi comprare quei dolci frutti biologici e il non essere riusciti a fuggire sul cucuzzolo di montagne radioattive.

Detto questo, non voglio sconfinare in pessimistiche macabrità, ma semplicemente, prendere consapevolezza delle nocività che ci sono imposte (che vanno dalle arance trattate, al nucleare, alle nanotecnologie, all’inquinamento industriale, al lavoro, agli ormoni, al tav e molte altre amenità di questo sistema capitalista) per poter scegliere solo quelle che più ci aggradano e magari iniziare a distruggere le altre.

Morale della storia, però è che la scorza mica l’ho usata, anche se probabilmente mi avrebbe fatto meno male che una passeggiata in città. Ho spremuto l’arancio (a quanto pare, è nocivo anche il contatto epidermico con il tiabendazolo) per preparare una ricettina prelibata che mi ha fatto carpare il diem proprio come si deve!

Trota all’arancia e finocchio

trota al tiabendazolo

ne’ vegana, ne’ vegetariana, non carne (no maiale), ne’ glutine

utensili:

  • coltello, tagliere
  • forno (in alternativa si potrebbe provare -ma, effettivamente non l’ho fatto- con la carta stagnola e la padella -di prefernza la griglia di ghisa- sul gas: dovrebbe funzionare)
  • teglia da forno
  • spremi agrumi o forchetta

ingredienti:

  • trota (del mercato, surgelata, del vostro zio pescatore, dell’acquario del dentista, della dora del balon -o forse no-)
  • finocchio con un po’ di barbetta verde
  • arancio (come dire, possibilmente non trattato?)
  • scalogni
  • sale, pepe
  • olio (di oliva, ma anche di girasole o quello che si ha)

esecuzione:

  • preriscaldare il forno (che poi in questo periodo fa assai piacere e permette di risparmiare sul riscaldamento)
  • tagliare gli scalogni, la parte verde del finocchio (le “foglie” per intenderci) e i finocchi finemente
  • spremere l’arancio
  • sviscerare la trota e metterci nella pancia un miscuglio fatto di un po’ di scalogni, il verde del finocchio, un po’ di succo d’arancio (io ho utilizzato anche la polpa restata impigliata nello spremiagrumi), un po’ d’olio, sale e pepe
  • oliare una teglia, metterci i finocchi tagliati a listarelle perpendicolarmente alle fibre, gli scalogni, e adagarci la trota
  • irrorare con il restante succo d’arancia, una spolverata di sale e pepe
  • lasciare cuocere 10′ poi girare la trota (per un totale di 20′) a circa 7 forno a gas (dico circa perchè il mio forno è un po’ rotto e la porta non si chiude bene, quindi il calore circola male e le temperature non corrispondono mai a quelle delle ricette di cucina).
  • Se poi pensate che un po’ di tiabendazolo non faccia mai male, potete anche aggiungere un po’ della scorza dell’arancio 😉

ps: solidarietà agli arrestati notav (notav liberi, liberi tutti)

 

 

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Strozzapreti e teste di frate

Vedendolo così, non so se è la stessa cosa per voi, ma a me ricorda la tonsura di un monaco…
non so neanche se abbia un nome questa verdura in italiano: in francese si chiama patisson, in spagnolo calabacine, da qualche parte ho letto che forse in italiano è “carciofo d’israele“, ma visto che non ci tengo a sostenere lo stato sionista, preferisco inventarne uno: “testa di frate”.
Non è che voglia cambiare il titolo del blog, ma forse ci starebbe quasi un piccolo menù anticlericale (con degli strozzapreti per primo e per secondo)…ma alla fin fine poveri frati, che fra tutto il clero marcio, sono quasi i più simpatici.
Lasciando la digressione, ecco una ricetta con una cucurbitacea ancora (per poco) di stagione:

Testa di prete farcita

Variante n. 1: carnivora
non vegan ne’ vegetariana
non gluten free

utensili:
forno, teglia, padella, coltello, cucchiaio, mezzaluna, ciotola (grande possibilmente, se no due), pentola [opzionale] con scolapasta per cottura al vapore (o couscussiera)
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Sfiziosa vendetta anticoloniale

Titolo altisonante per una ricetta dagli ingredienti un po’ insoliti (ma poi, voglio dire, dipende sempre da dove si abita, nelle grandi città nei quartieri popolari e popolati da gente variegata (soprattutto oltralpe), delle patate dolci le si trova anche al mercato (e relativi cassonetti, visto che non sono così vendute).
Che suoni come un augurio…


Cartoccio di pesce, patate dolci e vaniglia.

Durante la preparazione è vivamente consigliato l’ascolto di:



(immagini dei recenti scontri tra polizia francese e manifestanti -contro il carovita, etc- a Mayotte, dove un poliziotto ha sparato su un ragazzino di 10 anni un proiettile di gomma nell’occhio, rendendolo cieco)

non vegetariana ne’ vegan
senza glutine


utensili:

stagnola, forno, stecchini, coltello, padella, gas
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parla come mangi: Allium cepa al forno

Nonostante alcuni ingredienti restino un po’ cari (ma a ben vedere forse è possibile procurarseli ugualmente) e ci voglia un forno, questa ricetta mi piace un sacco!

Cipolle al forno

vegana
(possibile gluten-free)

utensili:
forno, piatto da forno, coltello, (eventualmente tagliere), ciotola
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nelle reti della produzione industriale: galline, acciughe e uomini

E’ assai difficile trovare qualcosa con cui iniziare, i piatti quotidiani sembrano sempre troppo banali, troppo elaborati in ingredienti (raro, ma delle volte lo si fa capitare) o dall’esecuzione un po’ complicata…eppure, dall’apertura del blog, qualcosa abbiamo pur mangiato!
Per inaugurare in modo saporito, semplice, veloce e economico (ma non troppo etico a dirla tutta) ecco qualche variazione sfiziosa attorno a due ingredienti ben nutrienti: uova e acciughe.

nelle reti della produzione industriale: galline, acciughe e uomini

Variazione 1:
Crostini di Crema di uova e acciughe con uva
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Ricercasi ricette per riempire il frigo…

Sulla rete, si trova un’infinita serie di ricette “svuota frigo”. Qualcuno deve ancora spiegarmi sta cosa: è molto più facile da svuotare che da riempire il freddo temperato dell’elettrodomestico apparentemente insostituibile, perché dare suggerimenti su come vuotarlo anziché su come colmare lo spazio del frigo?

Non sto qui a elencare i diversi metodi di sopravvivenza che ci permettono di stipare qualche cibaria al freddo, inutile memorandum per chi già li conosce e semplice curiosità morbosa per chi può farne a meno. Ciononostante, volevo dirlo che mi da assai fastidio questa visione dell’incombenza del frigo ben ordinato da svuotare con fantasia che si legge in varie ricette sparse.

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un poor-food blog condito con un filo d’odio su letto di astio di classe

uscendo dal lavoro, essì ogni tanto capita pure di lavorare, sento un tanfo disgustoso. un sentore nauseabondo di ospedale e cibo per cani mi infetta le narici e mica capisco subito la provenienza di tale ammorbante odore. poi realizzo: arriva da un’ambulanza della croce rossa parcheggiata con i lampeggianti accesi in un angolo dello spiazzo. non sono le piaghe non curate degli internati nei cie a puzzare, non è il ruolo di complice nella gestione delle espulsioni ad appestare l’aria e non è nemmeno, seppur ci si avvicini, il cibo avvelenato di psicofarmaci che i crocerossini amministrano quotidianamente e con tanto amore ai clandestini.

E’ il cibo, se così si può chiamare, che, con altrettanta tenerezza fatta di gesti secchi e affrettati, distribuiscono in confortanti piatti di plastica ai poveri. sono buoni e gentili i crocerossini che pensano sia più dignitoso andare a elemosinare una brodaglia puzzolente piuttosto che cercarsela da soli, magari in un cassonetto (dove, neppure nelle giornate d’estate, i resti delle verdure marce cuociute nella plastica spessa eguagliano in squallore e nauseabondezza il pasto offerto).

E non si tratta di solidarietà, di voglia esigenza di condividere o anche fosse di ridistribuzione. E’ un’odiosa minestra per non far saltare le persone dalla finestra, perchè tutti, restando al proprio posto, possano mangiare (nutrirsi).

Ma, il cibo, fisiologicamente necessario alla sopravvivenza, sembra assumere sfaccettature così diverse a seconda del posto che dovremmo occupare. Perchè il cibo non è nient’altro che un prodotto, fabbricato industrialmente perchè si creino degli impieghi come qualsiasi altra merce. E perchè non ne si ha diritto se non si può comprarlo. Bio, bio, bio sembrano pigolare i ricchi seduti ai loro tavoli di cristallo, mentre il resto del pollaio, tra lo sterco e la calce, viene innaffiato con abbondanti dosi di glutammato. Ma, personalmente (perché questo è un blog personale, ma mica ci sono solo io!) , mi sono un po’ rott@ il cazzo di mangiare la merda imbellettata e (e poi neanche tanto) profumata a cui avrei diritto visto il mio reddito.

Non per questo mi diletto leggendo la marea di foodbloggers che ha invaso la rete. brave mammine e spose illibate che pensano di allettare la propria famigliuola mulino bianco con tenere dolcezze mentre fuori infuria la guerra. Ricette delicate con prodotti esoticamente costosi e introvabili, la cui unica bontà sta nella rarità dell’ingrediente. Papille che gioiscono nel dimostrare la propria superiorità censuaria con manicaretti improducibili senza il devoto senso del dovere coniugale e ingegnosi robot che si alimentano di un’energia elettrica sporca di sangue (quando si tratta di petrolio eni, ad esempio) e autorità statale (con l’imposizione forzata delle nocività nucleari).

Contro tutto questo (stato e autorità, sfruttamento, famiglia), questo blog culinario vorrebbe, per iniziare, sfamare la nostra sete mangiando i ricchi. porci alla borghezio e lepen che da soli sfamerebbero i poverelli soccorsi dalla croce rossa con succulente carni di maiale allo spiedo per un inverno intero. ma la lista di mangiabili non si esaurisce a qualche xenofobo razzista, si dilata fino ad integrare i ricchi che, per ora, mangiano sulle nostre teste e bevono, ignari, lo champagne che noi raccogliamo. Ricette per mangiare i ricchi ce ne sono a bizzeffe (è possibile adattarli a diverse salse), ma, nonostante il titolo, non è l’obiettivo di questo povero piccolo blog di proporle. Rapimenti di padroni, sabotaggi, furti, rivolta, autorganizzazione sono solo alcuni degli ingredienti necessari, ma non ne starò a discutere qui. Queste pagine virtualmente inconcludenti vogliono semplicemente ricordare che le papille gustative non sono un gingillo di classe. Che ce le abbiamo tutti e goderne può essere un’infima, ma estremamente soddisfacente, rivendicazione. Alla facciazza dei riccastri stressati che ci pensano sbavare su un piatto di omogeneizzato della croce rossa, preferisco immaginare una cucina di resistenze. Non c’è niente di rivoluzionario nel mangiar bene e con poco, non è un obiettivo, non è un fine, ma è un bel mezzo per nutrirsi per fare la rivoluzione e organizzare un bel pranzo di gala con gli sfruttatori nelle pentole.

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